Inizio del XII secolo

L’origine dei beni che costituiscono l’attuale patrimonio del Consorzio dei Partecipanti, o Partecipanza, è da attribuirsi a concessioni enfiteutiche (V. in seguito enfiteusi) di vasti appezzamenti di terreno paludoso, boschivo e prativo fatte già dal secolo XII dall’Abate di Nonantola e dal Vescovo di Bologna all’antica comunità persicetana, costituita dai residenti in questi luoghi o qui immigrati appositamente. Gli atti enfiteutici prevedevano la clausola ad meliorandum, cioè l’impegno di bonificare e portare a coltura le terre con obbligo di pagare un tenue canone di affitto e di osservare l’incolato, cioè la residenza continua nel luogo, pena la perdita della concessione.

Tali concessioni collettive “ad meliorandum” e nello specifico con la clausola “ad habitandum” erano in questi secoli uno dei mezzi più utilizzati per affrontare il vasto problema del dissodamento e della bonifica poiché lo sforzo del singolo sarebbe stato vano.

Va sottolineato che questo tipo di concessione, non peculiare del territorio emiliano, e usato in larga scala soprattutto nelle proprietà ecclesiastiche, ha per quell’epoca spiegazioni storiche ben precise, legate soprattutto alla fine delle invasioni barbariche e in modo particolare al mutamento del clima. Fra il XII e XIII secolo (1100-1200) infatti, il clima è molto piovoso ed è assai più caldo (ad esempio nel 1200 la vite si coltiva fino al sud della Scandinavia). Grazie a questa situazione i raccolti sono più abbondanti, ci si nutre meglio e pertanto la popolazione cresce.

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Pier De Crescenzi, vissuto a Bologna nella seconda metà del1200 e primi anni del 1300,scrive che le olive coltivate a Bologna fanno invidia a quelle spagnole.

E’ evidente che la necessità di estendere i territori da coltivare si fa pressante anche perché cresce l’esigenza di derrate nelle città, ove si affermano i liberi “Comuni”. Per curiosità, ma non è un caso, ricordiamo che in Europa per la prima volta, si applica davanti al vomere il coltello che favorisce l’aratura, si inventa la “carriola” che favorisce il trasporto della terra nello scavo degli scoli, il “collare” da applicare ai cavalli da tiro. Grazie a queste invenzioni ed altre, si riesce a migliorare l’assetto dei poderi, ad allungare “i morelli” inseriti fra le viti “maritate all’albero” (la piantata gallica); nel mercato di Bologna frequentissima è la stipula del contratto di soccida “ad laborandum” di cui si fa uso nel persicetano.

Tale situazione non può da sola spiegare il perché del perdurare dell’istituto della Partecipanza attraverso i secoli fino ad oggi, anche perché la concessione ad meliorandum ha dato luogo, in tutti gli altri casi, ad una evoluzione verso l’allodio (patrimonio fondiario in piena proprietà e non sottoposto agli oneri ed ai vincoli feudali) e pertanto verso la proprietà privata.

Nel caso delle Partecipanze invece la formula della concessione enfiteutica permane attraverso i secoli, come testimoniano i rinnovi delle concessioni stesse, rilasciati dall’Abate di Nonantola e dal Vescovo di Bologna, come accade per la Partecipanza di San Giovanni in Persiceto.
In particolare per la Partecipanza persicetana come per le altre, il motivo risiedeva nell’avere i terreni nelle zone “basse” soggette ad inondazione.

San Giovanni in Persiceto era circondata da fiumi in continuo movimento quali il Reno, il Samoggia, il Panaro. Quando sul finire del 1400 i fiumi consolidarono il loro corso, negli “uomini liberi” della comunità persicetana si era affermato il concetto che solo con lo sforzo “collettivo” si ottenevano i risultati, risultati costati ad essi dure fatiche e enormi spese per secoli.